I Fiori di Gabrieli

La difficoltà attraverso le quali si svolgono i compiti che la Modigliani si propone sono alquanto pesanti. Noi Vogliamo selezionare elementi nuovi e di certissimo impegno, ma mentre d un lato tale opera si rende difficile per la incondizionabilità dei nostri compiti con le necessità più indispensabili di una galleria, dall’altro ci ferma talvolta l’inesperienza degli elementi stessi che veniamo scegliendo e che troppo spesso non sono ancora in grado di distinguere i loro momenti felici da quelli assai modesti della scuola e della ricerca. Il contrario ci è capitato con questo impegno selvatico  che arriva a noi da un esperienza di vita piuttosto affannosa svolta ai Mercati Generali dove Gabrieli lavora nell’ambiente meno ovattato del mondo e, prima, delle strade più  impensate  di mezza Europa dove una adolescenza ed una gioventù travagliata hanno trasportato in numerosi difficili prove il suo aspetto di rivoluzionario bambino, di barbuto umanitario, di populista  ingenuo e tranquillo.

Quando ho detto a Roberto Gabrieli: la Modigliani ti accetta se distruggi quel  poco che c’è di accademico e di salottiero  nella galleria sperimentale che, a costo di numerosi sacrifici, abbiamo voluto, egli ha accettato.

“Hai detto di avere dei fiori” gli abbiamo detto “il fiore è il più strapazzato di tutti i soggetti e su questo, e solo su questo  ti vogliamo vedere”.

Gabrieli ha accettato prospettandoci umilmente di inserire  un paio di “tetti di Roma”.

I fiori di Gabrieli sono sinceramente interessanti. L’uso della stecca e il dialogo specifico tra le parti  in composizione li rendono vivi e palpitanti in atmosfera di misteriosi raccoglimenti. Da Degas a Renuar ed a De Pisis, da un lato, dall’altro, dagli abatini in vena di pennello alle buone signore della società – bene – di ogni paese, il fiore è stato croce e delizia delle velleità e del colore. Per Gabrieli, non ancora trentenne, il fiore è un dialogo di rosa con rosa, di margherita con margherita, in un atmosfera in cui l’ esperto confonderebbe facilmente l’olio con l’acquarello, l’invenzione con la tradizione.

Abbiamo di proposito, infatti, per la stessa giornata, presentato il figurativo di Gabrieli  nel rinomato ristorante “Da Gino” in Trastevere , perché, una volta tanto, nelle modesti pareti della volenterosa Modigliani volevamo vedere “una cosa” ed “una cosa soltanto”. Viva le bottiglie di Morandi e le figurazioni sospese nella perennità senza storia delle piazze di De Chirico e degli interni di Campigli.

Quanta poca gente ha capito nel mondo l’infinita difficoltà di cercare se stessi!

MARIO DI GIOVANNI